sabato 16 gennaio 2021

Diario di scuola: la poesia

 

La prima versione di "Mattina" di Ungaretti

Ho scritto nel mio diario di scuola una pagina che forse merita il blog

Sabato, a scuola, ci siamo solo noi, Orietta o Luigino, io, e la mia classe. Con il solito terrore ho preparato una lezione sulla poesia di guerra, per poi passare ai classici di Ungaretti. Terrore che deriva dalla paura di allontanarli da quella che ritengo essere la cosa più bella. Parto dalle sensazioni, leggo tre poesie e gli chiedo di scrivere quale immagine o emozione gli rimane: Sul Kobilek di Soffici, Prendemmo la città dopo un intenso bombardamento di Pessoa e L’addormentato nella valle di Rimbaud.

Alla parola “poesia” partono i prevedibili mugugni ma poi il clima si fa più interessato, c’è quella sottile sensazione di fare qualcosa assieme. Tutto nasce, al solito, da “un errore”. Qualcuno vede nel trenino abbandonato della poesia di Pessoa, un treno vero e proprio. Io dico che non importa, che è meglio aver immaginato qualcosa che non c’è, piuttosto che non immaginare nulla. Di contro, Emma mi dice di no, prova a spiegare meglio, secondo lei bisogna capire bene, perché il messaggio è uno solo, è preciso; lei non usa il termine inequivocabile ma è quello che vuol dire. Io cerco di inserire un diverso punto di vista, con un po’ di ingenuità appassionata, le dico che non c’è un messaggio chiaro, che di fronte a una poesia ci possono essere 21 (siamo in 21) emozioni diverse, lei dice di no, mi concede questa possibilità di fronte a un quadro, ma non per una poesia.

Porto avanti la discussione anche se non era questo il programma. Capisco il ragionamento, è il classico problema della parola, crediamo che esista solo la sua dimensione funzionale, che voglia dire solo una e una cosa sola, mentre il disegno ovviamente lo sentiamo sempre più libero. Questo, ma anche altro, ovvero il fatto che la creazione artistica abbia un significato preciso per chi la fa e quindi chi la legge o la guarda abbia il compito (quasi il dovere?) di comprenderlo. (Sì, stiamo davvero parlando di queste cose). Emma tiene il punto, ma mi concede il fatto che io possa provare una mia emozione e/o tentare una mia personale comprensione; dopo però devo cercare di capire cosa ha veramente voluto dire il poeta. Ma guardate che spesso nemmeno l’artista sa con precisione cosa vuol dire. Mi guardano perplessi. C’è un’intervista ad Ungaretti che sembra fatta apposta per approfondire il discorso e allora: Youtube. Il giornalista in sostanza chiede (e la domanda è perfettamente ingenua) a Ungaretti, come fa a scrivere poesie, come accade. Ungaretti non sa cosa dire, nel vero senso della parola. Inizia incerto con un lungo mah e poi aggiunge frasi del tipo non pensandoci, accade, non saprei. Dico alla classe, vedete, nemmeno lui sa come accade.

A questo punto, qualcuno più attento di me prorompe in un giustificato e traboccante di significato: ma allora cosa ci stiamo a fare qui? Cioè, se l’opera d’arte non va contestualizzata storicamente, perché nemmeno l’artista sa da dove viene, e il messaggio non è poi così preciso, noi cosa ci stiamo a fare a scuola? (Lei intendeva questo, ma la realtà sottesa è che la domanda presuppone un’idea di scuola come istruzione e si riduce a quel perché impariamo? che se analizzato a fondo tradisce, dal mio punto di vista, la sua natura di accusa fatale...ma lasciamo stare...)

La domanda è legittima, mi accorgo in un attimo che tutto il mio entusiasmo infantile per la fruizione ingenua della poesia ha messo in dubbio quello che per loro è il ruolo stesso della scuola. Allora, come punto nella parte più scoperta, faccio un passo indietro e torno sui binari: hai ragione, la domanda è giustissima, possiamo avvicinarci alla poesia senza conoscere nulla, ma poi per affinare la nostra comprensione serve lo studio, servono le conoscenze storiche e letterarie. Mi salvo così.

Passiamo a Veglia. La leggo e basta. E gli chiedo di scrivere quello che pensano. Emma non perde l’occasione di ribadire il suo punto di vista: vede, questa è chiara, così mi piacciono.

Qualcuno mi dice che il poeta prima non amava la vita, un altro che addirittura pensava al suicidio. Io onestamente non capisco, gli chiedo dove hanno letto tutto ciò. Loro insistono. E’ nell’ultima strofa, quel mai stato tanto. Non avevo mai letto quella parte in questo modo, forse è colpa mia o forse nemmeno le poesie scritte in trincea sono così univoche come sembrano...

Due giorni fa gli avevo chiesto: come può essere una poesia scritta in guerra? Era uscito un fantastico senza parole. Lo riprendo e gli faccio notare la caratteristica scarnificazione delle poesie dell’Allegria. Ho portato un’edizione Einaudi e gliela mostro, gli chiedo il motivo di tutto quel bianco. E anche qui esce un inaspettato è il tempo, chiedo spiegazione, sono interessato, non l’ho mai vista in questo modo, Matteo mi dice che è il tempo prima di scrivere. (Sì, stiamo davvero parlando di questo)

Finisce con qualcuno che esclama, che bello scrivere poesie così corte! Io non indugio e ne approfitto e scrivetele dai, provateci! Ecco quello che volevo dire, non abbiate paura dell’arte e della poesia perché “non la capite” o “bisogna studiarla”. Volevo dire questo.

Manca pochissimo alla campanella, vedo qualcuno che scribacchia su un foglietto e mi avvicino. E’ successo ancora, alla fine di una lezione sulla poesia, è nata una poesia. Passa una settimana, e torna il nostro sabato: ho chiesto di scrivere una poesia imitando lo stile di Ungaretti e le poesie si moltiplicano. Approfitto per modificarle un po' assieme a loro, per far vedere che l’arte non è quasi mai l’espressione istantanea del genio, ma è anche lavorio, conoscenza tecnica, quasi artigianale. E Mozart? Mi tocca concederglielo…Mozart in effetti non correggeva nulla…Beethoven però sì.

 

L'universo rimpiange

la solitudine

un po' come ognuno dentro di noi.

 

 

Nello spazio ci sono infiniti pianeti

ma non il nostro tempo su di essi.



Il sole rosso 

come il tramonto,

la rosa rossa,

come la sera.



Il vento 

è come un'emozione

ti travolge

facendoti

sentire libero

da tutto.

Il vento

del mattino, un'aria

che accarezza

la fragile pelle.

Il vento.

 


Con un piccolo movimento

sotto il grigio il nero

lo sporco e qualche schiavo

trovato dal cielo rosato

della stella.

 


Siamo solo

gocce 

di niente

in un mare

di tutto.



Un gabbiano

che vola sul mare

è felice

come un uomo

in pace con se stesso.

 


La luna bianca

come il latte

il mare azzurro

come il cielo

le strade vuote

come il mio cuore

che cerca

il sonno nella notte.


 

Noi siamo

quello che

la gente

vuole

che siamo.

 

 

Ritorno

dalla mia vera paura

la morte

 

ritorno

dal mio unico amore

la famiglia


ritorno

dalla mia emozione più grande

la guerra.

 

 

La vera felicità

sta nel selfie

di uno sconosciuto

che ti ha per sbaglio

ripreso

in un istante.

 

 

Piove.

Le foglie

stufe cadono

e la luce scompare

dietro quelle nuvole

nere

che contengono

la guerra.

 

 

Ero solo al buio

e senza via d'uscita

quando una stella

mi colpì.

 

 

I poeti hanno già scritto tutto

io non voglio rovinare

con le parole

ciò che si può dire

in silenzio

 

Ecco, siamo sicuri che abbiano già scritto tutto? A volte credo di sì, poi i ragazzi mi smentiscono.

Lo hanno già fatto altre volte:

La poesia non muore mai

La poesia di Chiara





3 commenti:

  1. 👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏
    APPLAUSI 👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏

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  2. Ascolto.
    Non odo parole
    Umane.
    Assaporo
    giovani battiti
    rianimare
    orizzonti futuri


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