La prima versione di "Mattina" di Ungaretti |
Ho scritto nel mio diario di scuola una pagina che forse merita il blog
Sabato, a scuola, ci siamo solo
noi, Orietta o Luigino, io, e la mia classe. Con il solito terrore ho preparato
una lezione sulla poesia di guerra, per poi passare ai classici di Ungaretti.
Terrore che deriva dalla paura di allontanarli da quella che ritengo essere la
cosa più bella. Parto dalle sensazioni, leggo tre poesie e gli chiedo di
scrivere quale immagine o emozione gli rimane: Sul Kobilek di Soffici, Prendemmo
la città dopo un intenso bombardamento di Pessoa e L’addormentato nella
valle di Rimbaud.
Alla parola “poesia” partono i
prevedibili mugugni ma poi il clima si fa più interessato, c’è quella sottile
sensazione di fare qualcosa assieme. Tutto nasce, al solito, da “un
errore”. Qualcuno vede nel trenino abbandonato della poesia di Pessoa, un treno
vero e proprio. Io dico che non importa, che è meglio aver immaginato qualcosa
che non c’è, piuttosto che non immaginare nulla. Di contro, Emma mi dice di no,
prova a spiegare meglio, secondo lei bisogna capire bene, perché il messaggio è
uno solo, è preciso; lei non usa il termine inequivocabile ma è quello
che vuol dire. Io cerco di inserire un diverso punto di vista, con un po’ di
ingenuità appassionata, le dico che non c’è un messaggio chiaro, che di fronte
a una poesia ci possono essere 21 (siamo in 21) emozioni diverse, lei dice di
no, mi concede questa possibilità di fronte a un quadro, ma non per una poesia.
Porto avanti la discussione anche se non era questo il programma. Capisco il ragionamento, è il classico problema della parola, crediamo che esista solo la sua dimensione funzionale, che voglia dire solo una e una cosa sola, mentre il disegno ovviamente lo sentiamo sempre più libero. Questo, ma anche altro, ovvero il fatto che la creazione artistica abbia un significato preciso per chi la fa e quindi chi la legge o la guarda abbia il compito (quasi il dovere?) di comprenderlo. (Sì, stiamo davvero parlando di queste cose). Emma tiene il punto, ma mi concede il fatto che io possa provare una mia emozione e/o tentare una mia personale comprensione; dopo però devo cercare di capire cosa ha veramente voluto dire il poeta. Ma guardate che spesso nemmeno l’artista sa con precisione cosa vuol dire. Mi guardano perplessi. C’è un’intervista ad Ungaretti che sembra fatta apposta per approfondire il discorso e allora: Youtube. Il giornalista in sostanza chiede (e la domanda è perfettamente ingenua) a Ungaretti, come fa a scrivere poesie, come accade. Ungaretti non sa cosa dire, nel vero senso della parola. Inizia incerto con un lungo mah e poi aggiunge frasi del tipo non pensandoci, accade, non saprei. Dico alla classe, vedete, nemmeno lui sa come accade.
A questo punto, qualcuno più attento di me prorompe in un giustificato e traboccante di significato: ma allora cosa ci stiamo a fare qui? Cioè, se l’opera d’arte non va contestualizzata storicamente, perché nemmeno l’artista sa da dove viene, e il messaggio non è poi così preciso, noi cosa ci stiamo a fare a scuola? (Lei intendeva questo, ma la realtà sottesa è che la domanda presuppone un’idea di scuola come istruzione e si riduce a quel perché impariamo? che se analizzato a fondo tradisce, dal mio punto di vista, la sua natura di accusa fatale...ma lasciamo stare...)
La domanda è legittima, mi accorgo
in un attimo che tutto il mio entusiasmo infantile per la fruizione ingenua
della poesia ha messo in dubbio quello che per loro è il ruolo stesso della
scuola. Allora, come punto nella parte più scoperta, faccio un passo indietro e
torno sui binari: hai ragione, la domanda è giustissima, possiamo avvicinarci
alla poesia senza conoscere nulla, ma poi per affinare la nostra comprensione
serve lo studio, servono le conoscenze storiche e letterarie. Mi salvo
così.
Passiamo a Veglia. La leggo
e basta. E gli chiedo di scrivere quello che pensano. Emma non perde
l’occasione di ribadire il suo punto di vista: vede, questa è chiara, così
mi piacciono.
Qualcuno mi dice che il poeta
prima non amava la vita, un altro che addirittura pensava al suicidio. Io
onestamente non capisco, gli chiedo dove hanno letto tutto ciò. Loro insistono.
E’ nell’ultima strofa, quel mai stato tanto. Non avevo mai letto quella
parte in questo modo, forse è colpa mia o forse nemmeno le poesie scritte in
trincea sono così univoche come sembrano...
Due giorni fa gli avevo chiesto: come
può essere una poesia scritta in guerra? Era uscito un fantastico senza
parole. Lo riprendo e gli faccio notare la caratteristica scarnificazione
delle poesie dell’Allegria. Ho portato un’edizione Einaudi e gliela mostro, gli
chiedo il motivo di tutto quel bianco. E anche qui esce un inaspettato è il
tempo, chiedo spiegazione, sono interessato, non l’ho mai vista in questo
modo, Matteo mi dice che è il tempo prima di scrivere. (Sì, stiamo davvero parlando di questo)
Finisce con qualcuno che esclama, che
bello scrivere poesie così corte! Io non indugio e ne approfitto e scrivetele
dai, provateci! Ecco quello che volevo dire, non abbiate paura dell’arte e
della poesia perché “non la capite” o “bisogna studiarla”. Volevo dire questo.
Manca pochissimo alla campanella,
vedo qualcuno che scribacchia su un foglietto e mi avvicino. E’ successo
ancora, alla fine di una lezione sulla poesia, è nata una poesia. Passa una
settimana, e torna il nostro sabato: ho chiesto di scrivere una poesia imitando
lo stile di Ungaretti e le poesie si moltiplicano. Approfitto per modificarle
un po' assieme a loro, per far vedere che l’arte non è quasi mai l’espressione
istantanea del genio, ma è anche lavorio, conoscenza tecnica, quasi artigianale.
E Mozart? Mi tocca concederglielo…Mozart in effetti non correggeva nulla…Beethoven
però sì.
L'universo rimpiange
la solitudine
un po' come ognuno dentro di noi.
Nello spazio ci sono infiniti
pianeti
ma non il nostro tempo su di essi.
Il sole rosso
come il tramonto,
la rosa rossa,
come la sera.
Il vento
è come un'emozione
ti travolge
facendoti
sentire libero
da tutto.
Il vento
del mattino, un'aria
che accarezza
la fragile pelle.
Il vento.
Con un piccolo movimento
sotto il grigio il nero
lo sporco e qualche schiavo
trovato dal cielo rosato
della stella.
Un gabbiano
che vola sul mare
è felice
come un uomo
in pace con se stesso.
La luna bianca
come il latte
il mare azzurro
come il cielo
le strade vuote
come il mio cuore
che cerca
il sonno nella notte.
Noi siamo
quello che
la gente
vuole
che siamo.
Ritorno
dalla mia vera paura
la morte
ritorno
dal mio unico amore
la famiglia
ritorno
dalla mia emozione più grande
la guerra.
La vera felicità
sta nel selfie
di uno sconosciuto
che ti ha per sbaglio
ripreso
in un istante.
Piove.
Le foglie
stufe cadono
e la luce scompare
dietro quelle nuvole
nere
che contengono
la guerra.
Ero solo al buio
e senza via d'uscita
quando una stella
mi colpì.
I poeti hanno già scritto tutto
io non voglio rovinare
con le parole
ciò che si può dire
in silenzio
Ecco, siamo sicuri che abbiano già
scritto tutto? A volte credo di sì, poi i ragazzi mi smentiscono.
Lo hanno già fatto altre volte:
👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏
RispondiEliminaAPPLAUSI 👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏
Che meraviglia!
RispondiEliminaAscolto.
RispondiEliminaNon odo parole
Umane.
Assaporo
giovani battiti
rianimare
orizzonti futuri