martedì 26 gennaio 2021

Ripetere col cuore - 27 Gennaio 1945

Riporto in alto questo post dell'anno scorso

Ricordare non è solo conoscere o capire. Ricordare davvero, ricordare per non ripetere, significa anche provare, immaginare, immedesimarsi. Credo che certi eventi possiamo capirli davvero soltanto avvicinandoci alle emozioni provate da ogni singolo individuo. Ricordare (lo dice la sua etimologia) è "ripetere col cuore". Per questo, io e la prof. Franzil, oggi abbiamo provato a chiedere ai ragazzi di seconda e terza di cercare per un attimo di diventare uno di quei ragazzi, centinaia di migliaia, finiti nel meccanismo dei lager nazisti. Ma non uno qualunque, non uno di quei corpi ridotti alla propria essenza dove si fa fatica a cogliere lo sguardo di una persona, perchè - come diceva Primo Levi - era già stata spenta "in loro la scintilla divina". Gli abbiamo chiesto invece di essere Lei, Czeslawa Kwoka, una ragazzina polacca che arrivò ad Auschwitz a 14 anni e vi restò per i suoi ultimi tre mesi di vita. Chiedo anche a voi lettori di guardare bene questo volto: è come se il contrasto fra bellezza e orrore richiamasse da ogni parte di chi osserva un continuo e crescente sgomento.


Ma in classe non ho detto o spiegato nulla, solo questa foto alla Lim e questa consegna:
CZESLAWA KWOKA 1928-1943
Guarda la foto di questa ragazza. Concentrati. Immagina di essere lei in quel momento e scrivi un breve testo in prima persona in cui racconti quello che provi, quello che speri, la tua storia fino all’attimo della foto o qualsiasi cosa ti venga in mente. Inizia con la parola Io


E' chiaro che tutti hanno subito collocato questa foto nel contesto dei lager, quindi l'immaginazione si è legata a quello che ognuno di loro già sapeva. Ecco le loro risposte, io le ho solo selezionate e ordinate. A metterle insieme farebbero una poesia.

Io sono spaventata, molto spaventata, non capisco cosa succeda.

Io non so cosa mi sia successo veramente.

Io provo paura e dolore allo stesso momento.

In questo posto valgo poco e niente. La mia identità è scomparsa, è come se non esistessi sulla faccia della terra.

Mi hanno privata di me stessa, della mia femminilità.

Non ho più un nome.

Stanno cercando di toglierci l’unica cosa che ci rimane: il nostro essere persone.

Io, che avevo vissuto in libertà, ora sono prigioniera, ora il mio nome è solo 26947.

Mi sto rifiutando di piangere perché so che intanto non serve a niente e non mi salverà la vita.

Io ho vissuto una vita triste, senza sogni. La parola principale che si usava era “guerra”. La guerra era in tutte le case come la paura di morire.

Pensavo dove potessero essere i miei genitori, quelli che mi avevano curato con tanto amore, quelli che mi davano la felicità, la mia amata famiglia.

Mi manca tutto, la casa, il cane, il caldo, il piacere, ma solo una cosa mi manca veramente: la famiglia

Io mi sento male, quello che sto passando non è vita, e poi perché sono nata se devo subire questo? Ho bisogno di affetto, di una persona per cui valga la pena combattere. Sono distrutta, non so cosa fare, ormai non vale più la pena piangere e credere che qualcuno possa salvarmi. Mi sento male, mi sento inutile e anche se provo una rabbia immensa non posso esprimerla.

Io, quanto vorrei io essere libera come gli altri, quanto spererei in una vita normale. Qui, l’unica cosa che si possa fare è sperare, ma nella realtà è difficile.

Con il passare del tempo diventai sempre più piena di botte e fragile, dentro di me pensavo di potercela fare e l’unica cosa che mi spingeva a pensarlo era il desiderio di rivedere la mia famiglia. Oggi ho 14 anni e li avrò per sempre.

Voglio rinascere in una città dove non si deve indossare una camicia con un numero.

Nemmeno quando sarò in paradiso sarò libera perché la mia anima resterà sempre intrappolata in quei campi.


C'è stata una frase scritta oggi, che più di altre mi ha colpito: questa ragazza mi porta a una delusione per me stessa. Io non so cosa volesse dire quell'alunna davvero (poi sappiamo mai con certezza quello che ci vogliono dire gli altri?), ma ho sentito in quelle parole qualcosa che si avvicina molto a quello che sento io. Con la Shoah l'uomo ha deluso se stesso. Non saprei dirlo altrimenti con così poche parole.
Poi in classe ci sono state altre immagini di orrore e altre parole, altre domande e spiegazioni e riflessioni, ma qui a che serve aggiungere qualcosa?  Mi sa che oggi qualcuno ha davvero ripetuto col cuore, ha davvero ricordato.

Ecco le parole di Wilhelm Brasse, il prigioniero fotografo di Auschwitz che scattò quelle foto

"Era così giovane e così terrorizzata. La ragazza non capiva perché fosse lì e non capiva cosa le stessero dicendo. Allora una donna Kapo prese un bastone e la colpì in faccia. Quella donna tedesca stava solo sfogando la sua rabbia contro la ragazza. Una ragazza così bella, così innocente. Lei pianse, ma non poté fare nulla. Prima che la fotografia fosse scattata, la ragazza si asciugò le lacrime e il sangue dal taglio sul labbro. A dire la verità, mi sentivo come se fossi stato colpito io stesso, ma non potevo intromettermi. Sarebbe stato fatale per me. Non potevi dire assolutamente nulla."




Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi

sabato 23 gennaio 2021

Le nostre cellule - 1B - by Elena Fabbro

Finalmente si fa entrare un po' di atteggiamento scientifico in questo blog ormai infettato dall'umanesimo..."Sto paese ha estremo bisogno di cultura scientifica! di quella umanistica ce n'è già abbastanza" parola di un prof. di lettere

Gennaio 2021 Ci risiamo…anche quest’anno si inizia dallo studio di ciò che risulta molto piccolo, dunque difficile da immaginare. Aggiungiamo il fatto che il laboratorio di scienze è «off limits» per le misure sanitarie… Bene, non resta che usare la fantasia e del materiale che si trova in casa. Mi sono stupita di come la buona volontà dei ragazzi non sia mai ripetitiva e dia forma a modelli davvero simpatici. Ho pensato di aggiungerli all’album dei ricordi… forse quando arriveremo in terza ci farà piacere rivedere i nostri piccoli grandi lavori. Per tutti i miei complimenti!

L'autore di questo morbidissimo procariote assicura che nessun pelouche è stato maltrattato per la realizzazione




ELENA FABBRO

sabato 16 gennaio 2021

Diario di scuola: la poesia

 

La prima versione di "Mattina" di Ungaretti

Ho scritto nel mio diario di scuola una pagina che forse merita il blog

Sabato, a scuola, ci siamo solo noi, Orietta o Luigino, io, e la mia classe. Con il solito terrore ho preparato una lezione sulla poesia di guerra, per poi passare ai classici di Ungaretti. Terrore che deriva dalla paura di allontanarli da quella che ritengo essere la cosa più bella. Parto dalle sensazioni, leggo tre poesie e gli chiedo di scrivere quale immagine o emozione gli rimane: Sul Kobilek di Soffici, Prendemmo la città dopo un intenso bombardamento di Pessoa e L’addormentato nella valle di Rimbaud.

Alla parola “poesia” partono i prevedibili mugugni ma poi il clima si fa più interessato, c’è quella sottile sensazione di fare qualcosa assieme. Tutto nasce, al solito, da “un errore”. Qualcuno vede nel trenino abbandonato della poesia di Pessoa, un treno vero e proprio. Io dico che non importa, che è meglio aver immaginato qualcosa che non c’è, piuttosto che non immaginare nulla. Di contro, Emma mi dice di no, prova a spiegare meglio, secondo lei bisogna capire bene, perché il messaggio è uno solo, è preciso; lei non usa il termine inequivocabile ma è quello che vuol dire. Io cerco di inserire un diverso punto di vista, con un po’ di ingenuità appassionata, le dico che non c’è un messaggio chiaro, che di fronte a una poesia ci possono essere 21 (siamo in 21) emozioni diverse, lei dice di no, mi concede questa possibilità di fronte a un quadro, ma non per una poesia.

Porto avanti la discussione anche se non era questo il programma. Capisco il ragionamento, è il classico problema della parola, crediamo che esista solo la sua dimensione funzionale, che voglia dire solo una e una cosa sola, mentre il disegno ovviamente lo sentiamo sempre più libero. Questo, ma anche altro, ovvero il fatto che la creazione artistica abbia un significato preciso per chi la fa e quindi chi la legge o la guarda abbia il compito (quasi il dovere?) di comprenderlo. (Sì, stiamo davvero parlando di queste cose). Emma tiene il punto, ma mi concede il fatto che io possa provare una mia emozione e/o tentare una mia personale comprensione; dopo però devo cercare di capire cosa ha veramente voluto dire il poeta. Ma guardate che spesso nemmeno l’artista sa con precisione cosa vuol dire. Mi guardano perplessi. C’è un’intervista ad Ungaretti che sembra fatta apposta per approfondire il discorso e allora: Youtube. Il giornalista in sostanza chiede (e la domanda è perfettamente ingenua) a Ungaretti, come fa a scrivere poesie, come accade. Ungaretti non sa cosa dire, nel vero senso della parola. Inizia incerto con un lungo mah e poi aggiunge frasi del tipo non pensandoci, accade, non saprei. Dico alla classe, vedete, nemmeno lui sa come accade.

A questo punto, qualcuno più attento di me prorompe in un giustificato e traboccante di significato: ma allora cosa ci stiamo a fare qui? Cioè, se l’opera d’arte non va contestualizzata storicamente, perché nemmeno l’artista sa da dove viene, e il messaggio non è poi così preciso, noi cosa ci stiamo a fare a scuola? (Lei intendeva questo, ma la realtà sottesa è che la domanda presuppone un’idea di scuola come istruzione e si riduce a quel perché impariamo? che se analizzato a fondo tradisce, dal mio punto di vista, la sua natura di accusa fatale...ma lasciamo stare...)

La domanda è legittima, mi accorgo in un attimo che tutto il mio entusiasmo infantile per la fruizione ingenua della poesia ha messo in dubbio quello che per loro è il ruolo stesso della scuola. Allora, come punto nella parte più scoperta, faccio un passo indietro e torno sui binari: hai ragione, la domanda è giustissima, possiamo avvicinarci alla poesia senza conoscere nulla, ma poi per affinare la nostra comprensione serve lo studio, servono le conoscenze storiche e letterarie. Mi salvo così.

Passiamo a Veglia. La leggo e basta. E gli chiedo di scrivere quello che pensano. Emma non perde l’occasione di ribadire il suo punto di vista: vede, questa è chiara, così mi piacciono.

Qualcuno mi dice che il poeta prima non amava la vita, un altro che addirittura pensava al suicidio. Io onestamente non capisco, gli chiedo dove hanno letto tutto ciò. Loro insistono. E’ nell’ultima strofa, quel mai stato tanto. Non avevo mai letto quella parte in questo modo, forse è colpa mia o forse nemmeno le poesie scritte in trincea sono così univoche come sembrano...

Due giorni fa gli avevo chiesto: come può essere una poesia scritta in guerra? Era uscito un fantastico senza parole. Lo riprendo e gli faccio notare la caratteristica scarnificazione delle poesie dell’Allegria. Ho portato un’edizione Einaudi e gliela mostro, gli chiedo il motivo di tutto quel bianco. E anche qui esce un inaspettato è il tempo, chiedo spiegazione, sono interessato, non l’ho mai vista in questo modo, Matteo mi dice che è il tempo prima di scrivere. (Sì, stiamo davvero parlando di questo)

Finisce con qualcuno che esclama, che bello scrivere poesie così corte! Io non indugio e ne approfitto e scrivetele dai, provateci! Ecco quello che volevo dire, non abbiate paura dell’arte e della poesia perché “non la capite” o “bisogna studiarla”. Volevo dire questo.

Manca pochissimo alla campanella, vedo qualcuno che scribacchia su un foglietto e mi avvicino. E’ successo ancora, alla fine di una lezione sulla poesia, è nata una poesia. Passa una settimana, e torna il nostro sabato: ho chiesto di scrivere una poesia imitando lo stile di Ungaretti e le poesie si moltiplicano. Approfitto per modificarle un po' assieme a loro, per far vedere che l’arte non è quasi mai l’espressione istantanea del genio, ma è anche lavorio, conoscenza tecnica, quasi artigianale. E Mozart? Mi tocca concederglielo…Mozart in effetti non correggeva nulla…Beethoven però sì.

 

L'universo rimpiange

la solitudine

un po' come ognuno dentro di noi.

 

 

Nello spazio ci sono infiniti pianeti

ma non il nostro tempo su di essi.



Il sole rosso 

come il tramonto,

la rosa rossa,

come la sera.



Il vento 

è come un'emozione

ti travolge

facendoti

sentire libero

da tutto.

Il vento

del mattino, un'aria

che accarezza

la fragile pelle.

Il vento.

 


Con un piccolo movimento

sotto il grigio il nero

lo sporco e qualche schiavo

trovato dal cielo rosato

della stella.

 


Siamo solo

gocce 

di niente

in un mare

di tutto.



Un gabbiano

che vola sul mare

è felice

come un uomo

in pace con se stesso.

 


La luna bianca

come il latte

il mare azzurro

come il cielo

le strade vuote

come il mio cuore

che cerca

il sonno nella notte.


 

Noi siamo

quello che

la gente

vuole

che siamo.

 

 

Ritorno

dalla mia vera paura

la morte

 

ritorno

dal mio unico amore

la famiglia


ritorno

dalla mia emozione più grande

la guerra.

 

 

La vera felicità

sta nel selfie

di uno sconosciuto

che ti ha per sbaglio

ripreso

in un istante.

 

 

Piove.

Le foglie

stufe cadono

e la luce scompare

dietro quelle nuvole

nere

che contengono

la guerra.

 

 

Ero solo al buio

e senza via d'uscita

quando una stella

mi colpì.

 

 

I poeti hanno già scritto tutto

io non voglio rovinare

con le parole

ciò che si può dire

in silenzio

 

Ecco, siamo sicuri che abbiano già scritto tutto? A volte credo di sì, poi i ragazzi mi smentiscono.

Lo hanno già fatto altre volte:

La poesia non muore mai

La poesia di Chiara