sabato 7 ottobre 2023

Testo libero - Tommaso Zamò

Un’enorme e fatiscente imbarcazione procedeva pigra e sghemba in una laguna periferica. Raccoglieva acqua nelle stive ormai da anni e trascinava con sé, sulla sua chiglia, come capelli di sirena, un ammasso fluente di alghe che ne rallentava la navigazione. Gli interni sarebbero apparsi a qualunque visitatore come qualcosa di disorganico e straniante: carte da parati a tratti in decomposizione che già rivelavano il compensato di alcune pareti ingrossate dall’umidità, alcune sale moderne e pulite ma rattristate dal languore dell’abbandono, altre che avresti detto uffici, per il loro traboccare di faldoni, e poi salette di rappresentanza con un mobilio che cercava disperatamente di vagheggiare un’importanza perduta. Ma la nave andava, silenziosa, in una sorta di reciproca noncuranza col paesaggio circostante, che la isolava sullo sfondo. E non si sarebbe potuto immaginare, vista la generale impressione di vacuità, quello che invece era l’affacendarsi di omini sul ponte e più ancora nella plancia di comando. Ad una lontana osservazione era innegabile che quel loro continuo gesticolare e quella camminata apparentemente indaffarata avessero come primo scopo quello di ricordare una sorta di gerarchia. Non si sarebbe potuto intravedere, invece, il minimo segno di preoccupazione per quanto potesse riguardare la rotta, come se il problema fosse stato da tempo accantonato. Separati dal mare da ringhiere arrugginite, si impartivano ordini, si predisponevano incontri e riunioni, si sognavano conferenze e celebrazioni, si premiavano vincitori di concorsi svolti al solo fine di proclamare perdenti e vincitori, ma soprattutto si progettava nel minimo dettaglio un complesso organigramma delle postazioni e degli orari di ciascuno, ben prima di definirne i ruoli. Poteva sembrare, questo lo ammettiamo, una enorme e dettagliata messa in scena. Ma non lo era affatto, e se non fosse bastato il brulichio che proveniva dai ponti sottocoperta, era sufficiente osservare la contrita espressione degli omini, per capire che nessun attore avrebbe potuto credere così intensamente alla sua parte. Nessuno spettacolo quindi, forse invece un’enorme e antica liturgia che si portava avanti più per inerzia che per tradizione. 
Sulla murata, una scritta, in parte ancora decifrabile: una S, forse una U, di sicuro una A finale.


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