Un’enorme e fatiscente
imbarcazione procedeva pigra e sghemba in una laguna periferica. Raccoglieva
acqua nelle stive ormai da anni e trascinava con sé, sulla sua chiglia, come
capelli di sirena, un ammasso fluente di alghe che ne rallentava la navigazione.
Gli interni sarebbero apparsi a qualunque visitatore come qualcosa di disorganico
e straniante: carte da parati a tratti in decomposizione che già rivelavano il
compensato di alcune pareti ingrossate dall’umidità, alcune sale moderne e
pulite ma rattristate dal languore dell’abbandono, altre che avresti detto
uffici, per il loro traboccare di faldoni, e poi salette di rappresentanza con
un mobilio che cercava disperatamente di vagheggiare un’importanza perduta. Ma
la nave andava, silenziosa, in una sorta di reciproca noncuranza col paesaggio circostante,
che la isolava sullo sfondo. E non si sarebbe potuto immaginare, vista la generale
impressione di vacuità, quello che invece era l’affacendarsi di omini sul ponte
e più ancora nella plancia di comando. Ad una lontana osservazione era
innegabile che quel loro continuo gesticolare e quella camminata apparentemente
indaffarata avessero come primo scopo quello di ricordare una sorta di
gerarchia. Non si sarebbe potuto intravedere, invece, il minimo segno di preoccupazione
per quanto potesse riguardare la rotta, come se il problema fosse stato da
tempo accantonato. Separati dal mare da ringhiere arrugginite, si impartivano
ordini, si predisponevano incontri e riunioni, si sognavano conferenze e
celebrazioni, si premiavano vincitori di concorsi svolti al solo fine di
proclamare perdenti e vincitori, ma soprattutto si progettava nel minimo dettaglio
un complesso organigramma delle postazioni e degli orari di ciascuno, ben prima
di definirne i ruoli. Poteva sembrare, questo lo ammettiamo, una enorme e dettagliata
messa in scena. Ma non lo era affatto, e se non fosse bastato il brulichio che
proveniva dai ponti sottocoperta, era sufficiente osservare la contrita
espressione degli omini, per capire che nessun attore avrebbe potuto credere
così intensamente alla sua parte. Nessuno spettacolo quindi, forse invece un’enorme
e antica liturgia che si portava avanti più per inerzia che per tradizione.
Sulla murata, una scritta, in
parte ancora decifrabile: una S, forse una U, di sicuro una A finale.
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